15 ottobre 2005

Paterno

"Ma mi devo confessare ogni volta che faccio la comunione?
Perché io i peccati li commetto, ma mi sembrano sempre gli stessi”

“Non è necessario confessarsi prima di ogni comunione eucaristica.
È necessario solo se hai commesso un peccato DAVVERO GRAVE che ha OFFESO il signore.
Allora in quel caso devi confessarlo perché l’amicizia con Gesù è DISTRUTTA e bisogna ricominciare DA CAPO.”

Dialogo tra Benedetto XVI e una bambina di 10 anni.

14 ottobre 2005

the sound of silence

Era almeno un’ora che attendeva l’uscita.
Ma quella sera la sognava da così tanto tempo che ne avrebbe aspettate anche altre dieci.
C’era un silenzio in sala che si tagliava col coltello e nel buio si poteva intravedere quell’unica spettatrice seduta proprio in prima fila su una poltroncina di velluto rosso sulla quale lui aveva fatto mettere un foglio recante il suo nome.
Voleva che lei lo vedesse bene.
Nessun altro in sala, la maschera era sempre la stessa, quella addestrata bene richiamata per l’occasione e al tecnico luci, sempre lo stesso richiamato per l’occasione, lui aveva chiesto di alzare leggermente la prima fila per controllare che lei ci fosse prima di entrare in scena.
Le voleva regalare il suo concerto e voleva che lei lo vedesse bene.
La vecchia maschera accettò di tornare per una volta in quel vecchio teatro solo perché era stato lui a chiederglielo.
Il cappello rosso e la punzonatrice li prendeva soltanto per gli spettacoli speciali.
Uscì da dietro la quinta, testa alta, come un militare fiero dei suoi gradi, sguardo fisso di fronte tradito soltanto da un impercettibile occhiata verso quella poltroncina che il suo cuore gli impedì di trattenere.
Lei la colse e annuì.
L’aveva immaginato così, quel momento, con la chitarra Gran Concierto sul piedistallo ad attenderlo a centro palco, lo sgabello quello con la manopola che aveva sempre visto nei film, il poggiapiede dorato e il tight comprato per l’occasione con la stessa emozione con la quale le donne si comprano l’abito da sposa.
La manopola era stata già regolata giusta, ma una controllata gli avrebbe dato quel carattere di precisione che ogni momento solenne richiede.
Un colpo alle code del tight per non sedercisi sopra, come aveva sempre sognato di fare e lo sguardo sul legno della chitarra per salutarlo.
Lei sentiva il suo cuore battere.
Non poteva sentirlo, ma lo sentiva.
Non poteva, ma lo sentiva.
Tum tum… tum tum… tum tum... tum tum...
Era l’unica cosa che sentiva, in quel silenzio.
Senza attendere oltre lui appoggia la mano sulle corde e inizia il suo concerto con un adagio, occhi chiusi, ondeggiando col corpo per seguire quei fraseggi che nella sua mente aveva preparato tutti quegli anni così, come li stava raccontando in quel momento, con quel piccolo momento di emozione che è da sempre l’inizio di ogni cosa importante.
Lei dentro sentiva che stava assistendo a quello che aveva sognato di sentire da sempre, così, proprio in quel modo.
Lui intanto proseguiva il suo concerto sempre più intenso, sempre più sentito, con il viso che si avvicinava e si allontanava dal legno per percepirne le vibrazioni, come fanno i chitarristi per sentire meglio il suono uscire dalla cassa e il corpo che raccontava ogni sensazione, ogni accento, ogni cambio di tempo, con la schiena che sottolineava le terzine in una danza con quello strumento che ricambiava riflettendo sul suo legno lucido ogni sfumatura di quel viso che così tanto vicino a quelle sensazioni non ci era mai arrivato.

Lei si stringeva le mani per sentirne tutta la forza che le si muoveva dentro, mentre la sua schiena seguiva il ritmo di quelle terzine con il sincronismo di chi conosce a memoria le stesse note, gli stessi accenti, la stessa forza che su quel palco le si stava offrendo mentre in fondo alla sala la maschera, non capendo perchè quell'uomo facesse finta di suonare, finiva di togliere le carte lasciate per terra dal pubblico appena uscito dopo l’ultimo spettacolo finito pochi minuti prima, cercando di fare meno rumore possibile per non disturbare il silenzio assoluto di quei due corpi che ballavano gli stessi movimenti come si conoscessero da anni, guardando da lontano e regalando loro il suo silenzioso sorriso, lo stesso che lo accompagnava ogni volta che vedeva la perfezione della musica, quando la sentiva.
Tum tum tum tum tum tum tum
Questo lo sentiva anche lui.
Era arrivato quasi al termine del suo concerto, i capelli ormai lontani dalla sagoma perfetta con la quale si erano presentati raccontavano tutti i salti, tutti i colpi, tutto il ritmo che quella testa aveva tenuto per l’intera durata del loro momento, mentre gli occhi di lei fissi su quell’uomo, senza mai chiudersi o distrarsi, le assicuravano le migliaia di fotografie da portarsi a casa a fine spettacolo con le quali avrebbe continuato a ballare ogni volta che ne avesse sentito il bisogno.
Era felice, lui, in quell’ultimo brano, si vedeva, lo si percepiva, era energia, era amore per la musica allo stato puro quello che in quel silenzio assoluto stava riempiendo quel palco e un’impercettibile riflesso di luce sulla sua guancia, proprio accanto agli occhi, le raccontava che era per lei ed era energia e amore per la musica quello che stringeva lei tra le sue mani, inumidite dallo stesso improvviso riflesso caduto dal viso.
Il concerto finì come ogni concerto con il più grintoso e violento crescendo che passione musicale possa generare, con il corpo che vibrava, le spalle che colpivano, i piedi che sbattevano e in quel silenzio lei piangeva dall’emozione e le unghie quasi le si conficcavano nelle gambe tanta era la forza con la quale seguiva ogni spasmo ogni colpo ogni movimento di quell’uomo.
L’ultimo colpo, l’ultimo colpo sul legno, secco, duro, grato, in piedi.
Lei insieme, di colpo, insieme, in piedi, insieme a lui.
La maschera da fondo sala si accorse che quella strana silenziosa rappresentazione era finita perché la proiezione dell’ombra di quelle due sagome, alzatesi, aveva raggiunto la decima fila dove lui ormai era arrivato a raccogliere le carte a testa bassa e passo silenzioso.
Alzò lo sguardo e vide solo quelle due sagome.
Lui, in piedi, sguardo fiero fisso di fronte a lui, soddisfatto, emozionato.
Lei in piedi, saltando, con le braccia alzate con tale forza che sembrava si potessero staccare e quelle due mani, aperte, a muoversi come girandole, per prendere l’aria sopra di lei e lanciarla tutta su quel palco, per ringraziare quell’uomo restituendogli quei respiri che per tutto il concerto le aveva regalato.
Lui aveva sempre sognato di suonare la chitarra per una donna, ma aveva sempre raccolto solo sorrisi di commiserazione.
Lei aveva sempre sognato di sentirsi dedicare un concerto di chitarra, ma aveva sempre ricevuto soltanto dispiaciuti sguardi di compassione.
A cosa aveva assistito e che quella sera non l’avrebbe mai più dimenticata, la maschera lo capì quando vide l’uomo, prima di scomparire dietro la quinta, stringere entrambe le mani a pugno, incrociare le braccia sul suo petto all’altezza del cuore e concludere quel silenzioso “Tu” con le mani tese verso la donna.